I prodotti da forno sono gli alimenti in assoluto più diffusi in tutto il pianeta, in grado di sfamare migliaia di persone. Sono prodotti semplici, derivati da una polvere inerte quale è la farina, ma che divengono straordinariamente buoni e profumati, grazie a molteplici meccanismi di trasformazione. La qualità di un lievitato è legata a diversi fattori, come l’aspetto, la struttura, la consistenza al morso e, ovviamente, il gusto e il profumo. In questo articolo ci concentreremo sui gusti e gli aromi dei prodotti da forno, analizzando insieme a cosa sono dovuti.

In primo luogo, è opportuno analizzare quali sono le molecole direttamente coinvolte nelle caratteristiche organolettiche di un lievitato. In generale, sono per lo più le cosiddette molecole volatili. Tali sostanze vengono percepite dal nostro corpo attraverso due meccanismi. Il primo è la percezione nasale: il nostro naso capta tutte le sostanze volatili presenti nell’aria e, inviando degli impulsi nervosi al nostro cervello, ci permette di percepire l’aroma dell’alimento. Il secondo meccanismo di percezione, altrettanto importante, è quello definito retronasale. Durante la masticazione dell’alimento, avverrà un’ulteriore volatilizzazione delle sostanze che esso contiene, le quali finiscono in un piccolo condotto che unisce bocca e naso, detto appunto condotto retronasale. Questo “collegamento” ci permette di percepire, con ancor più precisione, i profumi di ciò che mangiamo. Vi è poi l’impatto di tutte quelle sostanze solubili in acqua, che verranno percepite attraverso le papille gustative della nostra lingua

Ma da dove derivano queste sostanze? Diversi studi hanno dimostrato come siano essenzialmente tre i fattori direttamente legati all’aroma e al gusto dei lievitati: fermentazione, cottura e attività enzimatica (Peterson et al., 2010 – Pico et al., 2015). La fermentazione per il 40%, la cottura per il 33% e l’attività enzimatica per il 27% (soprattutto l’ossidazione dei lipidi) (Pico et al., 2015).

La fermentazione è quindi alla base di tutto, e non poteva essere altrimenti. Ciò che creano i microrganismi dell’impasto è assolutamente determinante, ed è il principale processo di trasformazione che possiamo avere in un lievitato. La tipologia e la quantità di molecole aromatiche prodotte dipendono dal tipo di microrganismi coinvolti e dalle condizioni di crescita a cui essi sono sottoposti. S. cerevisiae è sicuramente l’organismo più sfruttato nell’ottenimento di svariati prodotti da forno e, sebbene sia da solo, anche lui è in grado di produrre ottimi aromi. Generalmente tale organismo risulta altamente efficace nel consumare gli zuccheri presenti nell’impasto. Di essi, il 95% lo converte direttamente in anidride carbonica e alcool, mentre il restante 5% lo utilizza per produrre sostanze aromatiche di svariate tipologie, come etili, metili, esteri e esanali (Peterson et al., 2010). Le condizioni di lavoro di S. cerevisiae sono molto importanti. Per esempio, è stato osservato che le fermentazioni condotte a basse temperature (5-16°C), determinano lo sviluppo di metili, etili ed esteri, legati ad aromi fruttati e particolarmente gradevoli. Ciò può essere dovuto principalmente alla maggiore liberazione di amminoacidi (che poi entrano nelle reazioni metaboliche del lievito), che si manifesta con più intensità se si allungano i tempi di fermentazione mediante l’impiego di basse temperature. Invece, le fermentazioni condotte a valori più alti di temperatura (30-35°C) determinano la formazione di altre molecole, come l’esanale e l’eptanale, molto più legate a odori sgradevoli e considerate off-flavours (Birch et al., 2012). La temperatura può quindi essere determinante. Analogamente lo è la concentrazione di lievito impiegata. All’aumento della concentrazione di lievito, si assiste ad un aumento della quantità e varietà di molecole aromatiche, mentre con concentrazioni basse di lievito la produzione di aromi diminuisce. La combinazione tra la giusta dose di lievito e le basse temperature può quindi essere molto efficace per il miglioramento degli impasti con lievito di birra.

L’impiego della pasta madre rende il tutto ancora più complesso. Non si parla più di un solo organismo, ma di centinaia di specie. In particolare, sono i batteri lattici gli organismi più coinvolti nella produzione di molecole aromatiche. La varietà di aromi prodotti è enorme e, anche per i batteri lattici, è legata alle condizioni di fermentazione e ovviamente al tipo di organismi coinvolti. Affrontiamo questo discorso nelle consulenze.

La cottura è l’altro fattore determinante. Durante tale fase, si innescano dei meccanismi chimico-fisici che portano allo sviluppo di ulteriori molecole fondamentali per le caratteristiche organolettiche del prodotto, nonché del colore che esso presenta. Le reazioni coinvolte sono la reazione di Maillard e la caramellizzazione degli zuccheri. La reazione di Maillard è un meccanismo estremamente complesso, il quale coinvolge amminoacidi e zuccheri, e che è favorito dalle alte temperature, producendo molti aromi ma anche pigmenti che donano colore al pane. La tipologia e la quantità di molecole prodotte sono correlate al tipo di zuccheri e amminoacidi coinvolti, a loro volta dipendenti dalla attività enzimatica e dalla fermentazione. Anche il pH può incidere sulla reazione di Maillard. Impasti a pH più basso tendono ad accentuare tale reazione, ed è per questo che i prodotti con lievito madre hanno in media colori più scuri (Peterson et al., 2010).

La caramellizzazione degli zuccheri porta allo sviluppo di altre molecole aromatiche e di composti bruni che partecipano al miglioramento delle caratteristiche organolettiche del prodotto. Tale reazione si sviluppa a temperature maggiori di 150°C e, ovviamente, dipende dalla quantità di zuccheri liberi che l’impasto presenta in fase di cottura. La crosta è la parte del prodotto più esposte a tali reazioni, ma è stata osservata una migrazione verso la mollica delle sostanze prodotte (Pico et al., 2015).

L’ultimo fattore che analizziamo è l’attività enzimatica. Essa riguarda tutti quegli enzimi presenti nella farina, detti endogeni, e quelli degli organismi fermentativi (detti esogeni) che agiscono sulle molecole complesse, liberando composti più semplici che poi rientrano nella reazione di Maillard e in tutte le reazioni metaboliche svolte dai microrganismi. Parliamo di amilasi, proteasi e lipossigenasi. Le lipossigenasi, coinvolte nell’ossidazione degli acidi grassi, sono molto efficaci nel produrre aromi molto interessanti.

In questa analisi manca un fattore considerato spesso importante: la farina. Essa è realmente così utile nel dare aromi al prodotto finito? In realtà no. La farina non svolge un ruolo diretto nel conferire profumi al prodotto finito, o comunque lo svolge con effetti nettamente minori rispetto ai precedenti fattori (Peterson et al., 2010 – Pico et al., 2015). Non è la farina a dare aromi, ma è il modo in cui viene trasformata ad essere determinante. Possiamo usare la farina migliore del mondo, ma se non siamo in grado di trasformarla correttamente non otterremo mai un buon prodotto. Si può dire che la farina sia il bacino da cui possiamo attingere, e che fornisce tutte quelle sostanze che poi verranno modificate, producendo gli aromi. Ma senza una corretta modifica delle stesse, non andiamo da nessuna parte. È quindi la fermentazione della farina, seguita da una cottura fatta come si deve, ad essere fondamentale. Diamo a Cesare ciò che è di Cesare.

È comunque vero che vi possono essere differenze nell’impiego di diverse farine, legate a sostanze presenti in quantità diverse. Alcune farine presentano dei pigmenti che altre non hanno, e che cambiano il colore della mollica, altre presentano più o meno parti cruscali, che in parte modificano il gusto. Ma si parla sempre di effetti più marginali rispetto a quanto può fare la fermentazione, anche considerando che la composizione dei cereali (carboidrati, proteine, grassi, ovvero le sostanze che vengono trasformate) è sempre molto simile, e quindi non ci saranno enormi differenze nelle caratteristiche delle varie farine (e quindi del bacino da cui dovremmo attingere).

La scelta della farina deve quindi essere fatta valutando il suo comportamento tecnologico e la sua capacità di generare una buona maglia glutinica, inserendola in un corretto processo produttivo che le garantisca di esprimersi al 100%. È da qui che parte tutto.

Bibliografia

In Hee Cho e G. Peterson, “Chemistry of bread aroma: a review”,  Food Science Biotecnology, 2010

Birch, M. Petersen, A. Hansen, “The aroma profile of wheat bread crumb influenced by yeast concentration and fermentation temperature” , Food Science and Technology 50 (2013) 480-488

Pico, J. Bernal, M. Gomez ,“Wheat bread aroma compounds in crumb and crust: A review”, Food Research International 75 (2015) 200–215

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