Il raffermamento (da non confondere con la contaminazione microbica) è uno dei principali fattori che influenza la shelf life e la qualità dei prodotti da forno. In particolare, possiamo definire il raffermamento come un processo chimico-fisico durante il quale il prodotto da forno subisce una variazione di consistenza, divenendo secco e duro. Sebbene le dinamiche di questo fenomeno siano molto complesse e ancora oggi non del tutto comprese, una delle principali cause è la retrogradazione dell’amido. Per analizzare tale fenomeno, occorre comprendere che cos’è l’amido e che fenomeni subisce durante la produzione dei lievitati.

L’amido è un polimero del glucosio, costituito da due subunità che ne definiscono la struttura: l’amilosio e l’amilopectina. Tali subunità sono caratterizzate da diversi legami che uniscono le unità di glucosio, i quali determinano anche diverse conformazioni: l’amilosio si presenta con una struttura lineare, ed è responsabile del cosiddetto stato amorfo, mentre l’amilopectina presenta una struttura ramificata ed è responsabile della natura cristallina dell’amido. A livello macroscopico l’amido si presenta come una polvere bianca, nella quale si sviluppano zone amorfe e zone cristalline. Queste ultime rendono l’amido insolubile in acqua e non attaccabile dai nostri enzimi digestivi nella sua forma nativa. Di conseguenza, per poter ottenere un prodotto digeribile e strutturalmente corretto, l’amido deve essere sottoposto a dei trattamenti fisici. È proprio la cottura il fenomeno alla base delle modifiche che rendono l’amido la molecola più utile per il nostro corpo e per i prodotti da forno, grazie al processo di gelatinizzazione.

La gelatinizzazione dell’amido si verifica in corrispondenza di temperature superiori a 50°C e con elevate quantità di acqua. Durante tale fenomeno, i granuli di amido si rigonfiano e passano da uno stato cristallino e ordinato, ad uno stato disordinato definito gel. Il gel di amido conferisce la sofficità ai prodotti da forno e ne assicura anche la digeribilità. È utile precisare che l’amido può formare gel con strutture differenti, in relazione ai rapporti tra amilosio e amilopectina.

Il gel di amido ottenuto durante la cottura è però altamente instabile, e tende a subire un processo opposto, definito retrogradazione. Tale processo è alla base del raffermamento del pane. Si può dire che l’amido presenta una sorta di memoria, la quale lo porta a ritornare alla struttura originaria una volta che ha subito la gelatinizzazione. È proprio quello che si verifica con la retrogradazione: i granuli di amido tendono a riformare una struttura cristallina e insolubile, con conseguente perdita di acqua e variazione delle caratteristiche del prodotto, il quale diviene secco e duro. La velocità di retrogradazione dell’amido è influenzata dalla temperatura secondo un rapporto inversamente proporzionale: al diminuire della temperatura, aumenta la velocità di retrogradazione e quindi il raffermamento. Al contrario, riscaldando ancora il prodotto, andiamo a gelatinizzare nuovamente l’amido ottenendo di nuovo un prodotto più apprezzabile. Tuttavia, è utile precisare che, più l’amido subisce continui passaggi di stato, con innalzamenti e abbassamenti di temperatura, più la velocità di retrogradazione aumenterà. Di conseguenza, non è consigliato riscaldare troppe volte i prodotti, così come congelarli e scongelarli continuamente.

A livello tecnologico possiamo rallentare la retrogradazione, attraverso diverse strade.

  1. Uso di additivi: emulsionanti e idrocolloidi. L’impiego di alcuni additivi negli impasti permette di rallentare la retrogradazione, mantenendo la freschezza dei prodotti da forno. Gli emulsionanti, come i mono e-digliceridi (E471), usati soprattutto nei prodotti dolci ricchi di grassi, permettono di legare molto meglio la parte lipidica dell’impasto, mantenendo un corretto strato impermeabile attorno all’amido, impedendogli di perdere umidità. Gli idrocolloidi sono polimeri, impiegati negli impasti, che hanno notevoli capacità di trattenere acqua (molto più dell’amido). I più usati sono i derivati della cellulosa, come la carbossil metil cellulosa (CMC, sigla E466) e l’idrossilpropil metil cellulosa (HPMC, sigla E464)
  2. Aggiunta di grassi. Il grasso impermeabilizza l’amido e gli impedisce di perdere umidità. Ciò rende i prodotti ricchi di grassi meglio conservabili rispetto a prodotti più semplici
  3. Utilizzo di enzimi. L’aggiunta di enzimi nell’impasto permette di modificare la struttura dell’amido, creando un rallentamento della retrogradazione. Tali enzimi possono essere sia di natura batterica che fungina, e sono una delle strade più seguite per il miglioramento della shelf life. Gli enzimi sono infatti dei coadiuvanti e, in quanto tali, possono non essere dichiarati, mantenendo l’etichetta pulita
  4. Gestione del processo: al di là dell’aggiunta di particolari sostanze, il raffermamento del prodotto può essere migliorato semplicemente mediante la scelta di specifici processi produttivi. Sicuramente una delle strade più efficaci è l’impiego del lievito madre. L’attività batterica della pasta madre permette di apportare una notevole quantità di enzimi, quali amilasi ed endoxilanasi che, modificando la struttura dell’amido, garantiscono un rallentamento importante della retrogradazione. Sempre grazie ai batteri del lievito madre, si assiste ad una produzione in situ di importanti molecole, come acidi organici ed esopolisaccaridi, estremamente importanti per la durata del prodotto finito.

Il lievito madre, e l’attività che lo caratterizza, può dare già notevoli miglioramenti al prodotto finito. L’analisi della sua attività batterica, e la comprensione dei fenomeni che la caratterizzano, deve essere il punto di partenza per l’ottenimento di prodotti di assoluto valore e con ottima shelf life. La tecnologia può poi essere un’importante alleata, dandoci la possibilità di ottimizzare ulteriormente tali miglioramenti, mediante l’impiego di specifiche sostanze (qualora vi sia il reale bisogno di impiegarle).

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di Mondo Pane

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